venerdì 18 aprile 2014

RIFIUTI RADIOATTIVI: ENTRO L'ANNO SI DECIDE SUL DEPOSITO UNICO

Di un deposito unico per i rifiuti radioattivi si parla da tempo, ma il 2014 potrebbe davvero essere l’anno che stabilirà il futuro dei rifiuti nucleari prodotti dal nostro paese, quelli pregressi legati al decommissioning delle quattro centrali nucleari italiane di Trino (VC), Caorso (PC), Borgo Sabotino (LT) e Garigliano (CE), e quelli tuttora generati dall’industriale, dalla ricerca e dalla medicina. Secondo quanto stabilito nel decreto legislativo n. 45 approvato lo scorso 4 marzo, in attuazione della direttiva 2011/70/EURATOM sulla gestione in un’ottica comunitaria del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi, la scadenza per definire un programma nazionale è fissata per la fine dell’anno: il 31 dicembre 2014. Una scadenza che rende impellente anche la decisione sul Deposito Nazionale per i rifiuti radioattivi.
Per Sogin, la società interamente partecipata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, incaricata dal 1999 dello smantellamento degli impianti nucleari italiani, della gestione dei rifiuti radioattivi e della chiusura del ciclo del combustibile, non esistono molte opzioni: da un lato si prospettano decine di depositi temporanei, dall’altro un unico deposito definitivo. L’occasione per riparlare dell’argomento è stata offerta lunedì dall’inaugurazione del nuovo deposito temporaneo della centrale di Borgo Sabotino, non lontano da Latina. Circa quaranta parlamentari delle Commissioni Ambiente e Attività produttive di Camera e Senato hanno fatto visita all’impianto accompagnati dai vertici Sogin. Al termine del tour, l’amministratore delegato Riccardo Casale ha ripreso il discorso con i parlamentari laddove l’aveva interrotto all’audizione sullo schema per il disegno legislativo attuativo della direttiva 2011/70/Euratom, spingendosi ben oltre le sole attività di smantellamento della centrale pontina.
I rifiuti radioattivi in Italia sono distribuiti in 23 depositi, di cui uno a Latina”, ha spiegato Casale. Al momento si parla di 25.200 mc di rifiuti a bassa e media attività, cui andranno sommati nei prossimi 40 anni circa altri 49.800 mc derivanti dagli interventi di smantellamento futuri. Per quel che riguarda i rifiuti ad alta attività, quelli che prevedono un immagazzinamento a titolo provvisorio di lunga durata, le cifre sono molto più basse: 7.200 mc pregressi e 8.000 mc futuri, che comprendono anche quelli che dovranno rientrare dall’estero tra il 2020 e il 2025, più precisamente da Francia e Inghilterra. Si tratta complessivamente di 90.200 mc rifiuti radioattivi con cui dovremmo fare i conti in un futuro prossimo, il cui 60% proviene dagli impianti nucleari non funzionanti mentre il restante 40% dalle attività di medicina nucleare, ricerca, e includono anche quelli del Ministero della Difesa.
E se il ricordo di Scanzano Jonico è ancora vivido nella mente di alcuni, Riccardo Casale tiene a precisare che il progetto di realizzare un deposito geologico, quello necessario per lo stoccaggio dei rifiuti di III categoria, ad alta attività per intenderci, non esiste più. “Abbiamo solo 28 cask”, spiega l’a.d. di Sogin intendendo quelli che torneranno da Sellafield, in Inghilterra, dove il combustibile della centrale di Latina, la prima ad entrare in esercizio in Italia, fu trasferito nei primi anni Novanta, dopo il referendum che ha dato il via alla disattivazione degli impianti. “Per quelli basterà un deposito temporaneo di queste dimensioni” ha proseguito Casale riferendosi a quello inaugurato proprio a Borgo Sabotino. La normativa europea in materia prevede poi la possibilità di un accordo tra stati membri per l’uso comune di un unico impianto di smaltimento dei rifiuti ad alta attività ammettendone l’esportazione a patto che sia destinata a un deposito geologico. Il che significa per Sogin rimandare il problema dell’alta attività affrontandola in maniera collegata con altri paesi ‘piccoli’ come l’Italia dal punto di vista nucleare concentrandosi invece su un deposito nazionale di superficie con annesso parco tecnologico.

 I modelli sono quelli di El Cabril, in Andalusia, o del centro francese di l’Aube. I fusti con le scorie a bassa e media attività sarebbero riempiti e isolati con uno speciale calcestruzzo, poi rinchiusi dentro capannoni con celle mobili che, una volta piene, verrebbero sigillate con materiali impermeabili, tipo argilla, e ricoperte di terra così da integrarsi nel paesaggio. Il tutto rimanendo perfettamente ispezionabili. Tra l’altro le nuove tecnologie adottate dalla Sogin, permettono di manovrare il contenuto dei depositi a distanza grazie a particolari ponteggi, come quello presente nel deposito temporaneo inaugurato a Latina.
Ma il cammino verso il deposito nazionale è ancora tutto in salita. La sua importanza e necessità sono state più volte ribadite nelle recenti audizioni davanti alle commissioni parlamentari di Sogin e dell’Ispra, l’ente competente per la regolamentazione e il controllo per la sicurezza nucleare e la radioprotezione, da una cui costola nascerà l’ISIN, l’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione, previsto dalla direttiva europea. Anche se è più di un anno che Sogin si dice in attesa delle linee guida dell’Ispra per definire i luoghi idonei ad ospitare i rifiuti radioattivi. Ieri Casale ha affermato: “Sono attesi entro un mese i criteri rilasciati dall’Ispra per la mappatura del territorio nazionale e l’identificazione di una decina di siti idonei per il deposito”. In realtà, i criteri sono già stati in parte anticipati nell’audizione dell’istituto per la protezione e la ricerca ambientale davanti alle Commissioni permanenti 10° e 13° del Senato, ovvero: stabilità geologica, geomorfologica e idraulica; confinamento dei rifiuti radioattivi mediante barriere naturali offerte dalle caratteristiche idrogeologiche e chimiche del terreno; compatibilità della realizzazione del deposito con i vincoli normativi di tutela del territorio e di conservazione del patrimonio naturale e culturale; isolamento del deposito da infrastrutture antropiche e attività umane; isolamento del deposito da risorse naturali del sottosuolo già sfruttate o di prevedibile sfruttamento; protezione del deposito da condizioni meteorologiche estreme. Ma si attende una loro approfondita pubblicazione. L’identificazione dei luoghi idonei dovrebbe poi dare vita a un’ampia consultazione partecipata con i territori papabili.
Forse è troppo presto per parlarne vista la lentezza con cui il nostro paese da decenni sta dicendo addio al nucleare. O forse no, visto che sembra si inizi a fiutare un potenziale business globale, considerando per esempio la scelta tedesca del dopo Fukushima di abbandonare il nucleare entro il 2022, e questo potrebbe effettivamente accelerare i tempi. Essendo, infatti, stati fra i primi ad aver iniziato le attività di decommissioning nucleare, l’Italia potrebbe godere di un vantaggio competitivo in un mercato che nei prossimi vent’anni si stima valga 600 miliardi di euro. Chissà. Intanto, bisogna vedere cosa succederà da qui al 2015: quale programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi presenteremo alla Commissione Europea e cosa comprenderà. Decine di depositi temporanei o un deposito unico nazionale?

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