A MASSERIA PANAREO DI OTRANTO LE SCULTURE DI GIOVANNI TAMBURELLI
IL SALUGGESE GIOVANNI TAMBURELLI
Dal 1 aprile al 31 ottobre2015 gli spazi interni ed esterni della Masseria Panareo
accoglieranno Tamburbattente, le
straordinarie sculture in ferro di Giovanni Tamburelli, eccellente artista, che fa rivivere attraverso il ferro
in forme astratte, le creature di un mondo infinito: hanno forme animali, a
volte inquietanti, ma sempre originali. La mostra è a cura di Maria Cristina Mello Grosso della Galleria Semid’Arte di Torino (www.semidarte.it).
Molti intellettuali hanno scritto testi su Giovanni: da Nico Orengo a
Sebastiano Vassalli, da Gad Lerner a Frédérick Tristan (Prix Goncourt), critici
quali Guido Curto, Gillo Dorfles e Martina Corgnati e moltissimo è stato detto
sui suoi mondi fantastici e onirici.
Scrive Curto in una delle molteplici pubblicazioni sull'autore "Tamburelli
realizza fantasiose e surreali sculture d'aspetto prevalentemente zoomorfo:
rane, pesci, mucche, zanzare, asini, volpi, conigli..., forme naturalistiche
spesso ibridate con immagini di centauri, ippogrifi, draghi che diventano i
personaggi di un immaginario giocoso e onirico". Parte integrante
delle opere, non solo elemento decorativo, sono i colori, sempre vividi, rosso
carminio, verde smeraldo, turchese, giallo cadmio, salvo quando, per scelta, i
materiali usati sono ferro arrugginito, alluminio o bronzo.
Ogni sua opera esprime una provocatoria volontà di allontanamento da una
concezione mentale ed elitaria dell'arte, è un omaggio a una rinnovata
manualità e artigianalità, quasi a dire che l'artista, prima di tutto, deve
"saper fare". Una capacità che viene messa in risalto nei suoi
fantastici e delicati acquarelli, unica alternativa al metallo.
E poi sedie, tavoli, arredi, cornici di specchi vuote, tutto quanto può essere
realizzato in ferro, diventa un "banco" di prova delle sue capacità,
materia da esplorare, con cui cimentarsi, in un continuo dedicarsi alla
creazione di forme sempre nuove che evocano uno stato d'animo sereno, la gioia
di vivere nella casa-laboratorio-rifugio di Saluggia.
Giovanni
Tamburelli nasce da una
dinastia di fabbri. Già mentre frequenta la scuola media, nei ritagli di tempo
aiuta il padre in officina; poi, d’estate, va in vacanza in un paese dell’Appennino
piemontese, dove il nonno è il fabbro del luogo. “In pratica, cambiavo solo
officina”. Studia arte grafica, destinata a scomparire di lì a un paio di
decenni, spazzata via dalla rivoluzione del computer. Diventa, seguendo la
tradizione familiare, un eccellente artigiano del ferro: ma ancora non pensa
che quel materiale grigio e opaco possa servire ad altro che a costruire
cancellate e inferriate. Tra i venti e i trent’anni sogna impossibili evasioni:
i viaggi, la poesia.
I viaggi lo portano qua e là, la poesia è per lui, come per tutti, un percorso
interiore: lungo, tortuoso e probabilmente inevitabile. Scrive Sebastiano
Vassalli "L’incontro del poeta Tamburelli con il fabbro Tamburelli
avviene relativamente tardi. Dopo qualche tentativo, in officina, di far vivere
il ferro in forme astratte, evocate da un pezzo di scarto o dall’assemblaggio
di qualche ritaglio di lamiera, un giorno Tamburelli batte sull’incudine. È
l’inizio della creazione". Nessun altro materiale, se non il ferro,
poteva permettere a Tamburelli di approdare al paese della creazione dopo aver
attraversato i deserti della parola scritta.