Nessun
sindaco festeggerà dopo aver visto i dati sul riparto del fondo di solidarietà
comunale 2015. Dai numeri, diffusi nella serata di mercoledì dal Viminale emergono tutte le criticità della finanza
comunale, che si possono riassumere con tre parole: tagli, tagli e ancora
tagli.
In effetti, la contrazione delle risorse trasferite dallo stato ai comuni è impressionante. Anzi, per la verità, l'amministrazione centrale non versa più nemmeno un centesimo in periferia, ma si limita a ridistribuire i soldi degli stessi comuni spostandoli dagli enti «ricchi» a quelli «poveri» e facendo pure la cresta sui soldi disponibili.
Qualche numero aiuta a capire meglio. Quest'anno, la dotazione netta complessiva del fondo ammonta a circa 3,7 miliardi, con una riduzione secca di 1,7 miliardi rispetto allo scorso anno. Colpa dei maggiori nuovi tagli previsti dall'ultima legge di stabilità (1,2 miliardi, di cui 1,076 a carico delle rso) e delle «code» dei precedenti cicli di spending review (artt. 16 del dl 95/2012 e 47 del dl 66/2014), che in tutto valgono 288 milioni. Siccome i sindaci alimentano il fondo versando allo Stato il 38,22% della propria Imu, per un totale di 4,3 miliardi, è evidente che l'operazione chiude in perdita per il comparto.
Ad alcune amministrazioni, inoltre, è stato richiesto un contributo ulteriore, attraverso una quota aggiuntiva di alimentazione che opera come una sorta di «prelievo negativo» sul fondo per circa 366 milioni di euro e che porta a circa 4 miliardi la torta a disposizione.
Ecco perché, per non pochi comuni (767, per la precisione), l'assegnazione del fondo è addirittura negativa. Ciò significa che, oltre alla quota fissa di Imu che serve ad alimentare il fondo e che tutti sono tenuti a versare (in realtà, viene trattenuta alla fonte dall'Agenzia delle entrate), tali enti devono fare un sacrificio ulteriore. In questa situazione, fra le grandi città, troviamo ad esempio Roma e Milano.
Al Campidoglio, l'alimentazione del fondo costa quasi 370 milioni di euro, cui si aggiungono altri 63 milioni di extra. Stessa situazione per il capoluogo meneghino, che l'anno scorso era in attivo di 7 milioni, mentre quest'anno va in rosso di 28 milioni (con una perdita di 35 milioni), oltre a dover rinunciare a 217 milioni di Imu. A peggiorare ulteriormente il quadro è intervenuta, infine, l'annosa questione dell'Imu sui terreni: a fronte dei maggiori incassi attesi (spesso assai aleatori e di dubbia realizzabilità), lo Stato si è portato avanti e ha decurtato subito il fondo. Quanto vale la partita ?
La risposta si trova nell'allegato A al dl 4/2015, che riporta un totale generale di 268 milioni. Soldi che in teoria i sindaci dovrebbero recuperare come gettito, sempre che le stime siano corrette e che i contribuenti paghino puntualmente. Altrimenti, nei conti locali si aprirà un altro buco.
In un simile contesto, ben si capisce perché per l'Anci diventi cruciale la questione del rifinanziamento del fondo Tasi, che nel 2014 ha portato 625 milioni di euro nelle casse di circa 1800 comuni (a Milano, ad esempio, ne arrivarono quasi 90). Ma su questo punto, la battaglia politica è dietro l'angolo, visto che l'anno scorso a beneficiare dell'aiutino furono le amministrazioni che, avendo già raggiunto il livello massimo consentito di pressione fiscale, non riuscivano a quadrare i bilanci. Con non pochi mal di pancia da parte dei comuni fiscalmente virtuosi. Difficile ripetere la stessa operazione senza creare ulteriore malcontento.
(FONTE - Matteo Barbero – ITALIA OGGI)
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